Leonidas Michelis
Atmosphere Libri
Collana: Biblioteca della terra
pp. 256
€ 16,00
2011
Il romanzo “Il ragazzo di Jànina” è scritto sì da un greco, ma che vive in Italia: una condizione che lo porta al recupero di alcune tradizioni e valori della Grecia conosciuta durante l’infanzia e l’adolescenza e, dall’altro lato, a tracciare una storia della Grecia, dall’Ottocento alla metà del secolo successivo, alquanto sintetica. C’è storia e c’è cronaca. Il contenitore di questi avvenimenti è il protagonista: Zafiris, personaggio senza carattere, egli è solo la memoria di un certo luogo, la città di Ioannina e dintorni, e di una famiglia di quel luogo. Non è quindi un romanzo storico quello di Leonidas Michelis, anche perché non vi è successione cronologica. La tripartizione dello stesso: “Quelli di mezzo”, “Quelli di prima”, “Quelli di dopo” segue un andamento temporale sinuoso. La storia greca è tracciata in modo ortodosso, e il libro, da questo punto di vista, si salva solo per la storia di Ioannina, una storia di un luogo particolare magari poco nota ai molti. Il romanzo manca anche di una struttura, è piuttosto un insieme di tante figure, fatti, riti, composti apparentemente in maniera disordinata. Apparentemente, perché è un luogo il collante di tutto, e la casa famigliare. Allora il romanzo si situa in modo puntuale all’interno di un tempo, il nostro, in cui i luoghi si sono appiattiti o vetrinizzati o ingrigiti. Si può offrire anche un’altra chiave di lettura del romanzo e tentare di collocarlo nella situazione storica odierna e vedere che cosa propone il romanziere. Il romanzo mostra una certa ricchezza di personaggi, quel mondo popolare che si è dissolto in Grecia con l’avvento di una classe media (qualcosa di simile è avvenuto qui da noi con i rampanti socialisti degli anni Ottanta), ed un mescolio di riti ed usi, perduti anch’essi, da quando la Grecia, dopo la dittatura dei Colonnelli, si è gettata a capofitto nelle braccia dell’Europa (occidentale), abbandonando una caratteristica forte e che la rendeva unica, quella cioè di essere ponte fra Europa e Medio Oriente, quel fare e quell’essere tipici di un Mediterraneo orientale, quel residuo di Ottomanesimo, che si respirava ancora qualche decennio fa nelle strade di Atene.
Il romanzo regge nonostante qualche oscurità e qualche didatticismo botanico, perché ogni capitolo (quasi sempre di poche pagine) è un fatto a se stante, compiuto, vagamente allacciato agli altri; sono i personaggi (alcuni) che appaiono, scompaiono e riappaiono a tessere e a sostenere la narrazione, mentre altri si perdono per strada e alcuni di questi sono i folli, i ciechi, coloro che non rientrano più nel nostro orizzonte, sia perché il mondo si è fatto più vasto – perché più conosciuto-, sia perché si è uniformato, e a forza di veder belli, eleganti e affascinanti, quegli esseri emarginati e scartati dalla fortuna ci sembrano distanti anni luce.
Cleto Battista