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Cos’è che volevo scrivere?

NESSUN CONSIGLIO UTILE

C’era una volta in cui scrivevo più assiduamente. Per esempio quando avevo vent’anni. Frequentavo un corso di scrittura creativa. Era il 1990 e a quell’epoca i corsi di scrittura creativa non erano così inflazionati come oggi. Il mio corso era tenuto da Delfina Vezzoli. Grande, grandissima traduttrice (dico solo due titoli: “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert M. Pirsig per Adelphi e “Underworld” di Don DeLillo per Einaudi). Bene. Durante quel laboratorio scrissi due racconti lunghi: “Ragni e gomitoli” e “Dio secondo Piero”. Titoli orribili, eppure i due racconti  piacquero molto. Ero il più giovane del gruppo, e il più “ammirato”. Perché dico questo? Non lo so, non ne ho la più pallida idea del perché dica e scriva questo. Non per farmi bello. Non sono bello. Non mi pare. E non sono neanche così bravo come in certi periodi della mia vita ho creduto di essere. Quello che intendo è che quando uno scrive deve riconoscere i propri limiti, ma nello stesso tempo non  lasciarsi condizionare dai suddetti limiti. Non abbattersi. Credere in se stessi ma non troppo. E non prendersi troppo sul serio. Ed essere realistici. Anche se le storie che si scrivono cercano di infrangere proprio il realismo. Ma non siamo Cortàzar e non siamo Celati. Giacché Cortàzar è Cortàzar e Celati è Celati. Ogni tanto mi metto a scrivere, ci provo, ho dei racconti, delle cose buttate giù, buttate lì che magari ogni tanto riprendo, aggiusto, smonto. Cancello. Per scrivere bisogna cancellare molto ed essere spietati con se stessi, obiettivi. Come se ciò che si legge non fosse scritto da noi ma da qualcun altro del tutto sconosciuto. Neanche da un amico. Perché il giudizio su una cosa scritta da un amico potrebbe essere condizionata dall’amicizia. E neanche da un nemico, giacché, ugualmente, il giudizio su una cosa scritta da un nemico potrebbe essere condizionata dall’odio. Lo so che non sto dicendo niente di nuovo: tutte riflessioni che altri prima di me hanno fatto, e infatti, a rileggermi, son tentato di cancellare tutto, censurarmi, selezionare il file ed eliminarlo. Vorrei scrivere sull’amore: una storia bellissima, dolente e colma di passione, piena disperazione esaltazione di essere al contempo felici e dannati. Vorrei scrivere sulla mancanza di lavoro: la storia di un uomo che non potrà mai essere uomo davvero giacché non ha un lavoro, indipendenza economica, possibilità di fare esperienza, mettere su famiglia, fare dei figli. Vorrei scrivere sul rapporto padre figlio da entrambi i punti di vista. Da quello di padre e da quello di figlio. Vorrei scrivere una storia in cui coesistano i temi dell’amore, del lavoro e del rapporto padre figlio. E nello stesso tempo emerga il tema di voler scrivere tutto questo ma temere di non riuscirci. Una storia piena di parole e di lunghi silenzi, dove si fumi poco e si cammini molto, dove i passi di un personaggio rimbombino nella mente degli altri, mentre questi altri non ci sono giacché il narratore è tutto preso dal personaggio che cammina, facendo però in modo che quei passi incidano la carne, l’udito, la direzione degli altri. Vorrei scrivere una cosa che trasudi solitudine e che nel contempo la infranga, perché anche la più sola solitudine lascia tracce di sé. E non vorrei mai essere lasciato solo, mai, neanche quando credo di voler restare da solo, perché quando poi ci resto, mi accorgo che no, non è quello che volevo. Cos’è che volevo? Amare, avere un lavoro vero e che mio padre ci sia ancora. E che legga le mie cose, anche se non valgono molto. Deve essere ben strano leggere qualcosa che tuo figlio ha scritto. Deve essere ben strano dar da leggere a tuo padre qualcosa che hai scritto tu. O magari no, magari non è niente, magari è normale. Ecco, io questa cosa non la so, e non la saprò mai.

Vorrei scrivere. Però adesso devo andare a cucinare.

Gianluca Minotti

Nuove uscite per Las Vegas ed.

 

 

 

Sono appena usciti in libreria due nuovi romanzi targati Las Vegas edizioni, Quest’alba radioattiva di Giuseppe Sofo e La notte raccolgo fiori di carne di Giorgio Pirazzini.

Il primo è una storia di viaggi e d’amore, il secondo un horror.

 

Potete vedere le schede, leggere un assaggio e acquistarli in anteprima (sia in versione cartacea sia in versione e-book) qui e qui.

Il Male naturale di G. Mozzi è a Roma il 4 marzo

Venerdì 4 marzo, alle ore 18:15, si terrà a Roma, presso la Libreria Mondadori di Via del Pellegrino, 94 (Campo de’ Fiori), la presentazione de
IL MALE NATURALE
di Giulio Mozzi
Laurana Editore
oltre all’autore, interverrà Andrea Cortellessa, critico e storico letterario.
Uscito per Mondadori nel 1998, Il male naturale è uno di quei libri che hanno segnato la storia recente della scrittura. Su due binari: uno eminentemente letterario (meno male!) e uno che di letterario ha poco. La censura. L’interrogazione parlamentare voluta dal leghista Oreste Rossi, giacché l’editore aveva pubblicato sul sito uno dei racconti che compongono la raccolta. Il racconto è Amore dove in tre pagine folgoranti è trattato, appunto, l’amore tra un bambino e un adulto. Pedofilia, pornografia: di questo si parlò. E il libro fu presto rtitirato dalle librerie. Ma coloro che – diciamo così – avevano fatto in tempo a leggerlo, si erano trovati di fronte a tredici racconti che riuscivano a parlare di vita, di morte, di dolore, di sentimenti, con una nitidezza davvero rara; come si evidenzia nella bandella dell’edizione Mondadori: “con approccio assoluto, frontale e allo stesso tempo quasi trascendente”. Il male che qui si tocca è il male consustanziale all’umano, ed è “naturale” perché fa parte di noi, è esso stesso a rivelarci come esseri umani. Non è un male esterno, non è un male che ci attacca da fuori, ma è un male che è carne della nostra carne. “Esiste un male che non è colpa di nessuno. Un male naturale”.
Dopo dodici anni il libro ritorna pubblicato da Laurana Editore con un breve saggio di Demetrio Paolin.
Quello che ci terrei a evidenziare di questi racconti è che per ognuno è riportata la data di inizio e fine scrittura. Per Bella, ad esempio, è: 22 febbraio 1988 – maggio 1996. Otto anni. Giulio Mozzi ha impiegato otto anni per concludere (semmai si può “concludere”) questo racconto. E ce lo dice apertamente. Perché? Perché per lui la scrittura è e deve essere naturale. La gestazione di un racconto può essere lunga, però poi, se funziona, dentro di noi accade qualcosa. Si parte da un’immagine, da una sensazione, da qualcosa di visivo o sensoriale (un dolore?) e poi si cercano le parole per dire. O meglio. Si lascia che le parole arrivino in maniera naturale. Nel caso di questi racconti,  a fare da detonatore, è spesso una semplice frase di inizio, che se è quella giusta, si porta a cascata tutto il resto. Se è quella giusta, “i racconti si sviluppano finché lo consente una sorta di impulso naturale a proseguire”. Sottolineo ciò, perché, mi pare, in tutti gli articoli usciti per la ripubblicazione del libro – e sono tanti – questo aspetto, pure importante, è stato un poco trascurato.
Gianluca Minotti