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Madrigali rudimentali di Giulio Mozzi

madrigali

Mi verrebbe da dire che Giulio Mozzi vuol proprio essere scaricato…

Segnaliamo l’uscita di “Madrigali rudimentali”, tre serie di componimenti in versi (“Chiusura”, “Madrigali rudimentali”, “Amici”) scritti da Giulio Mozzi alla fine degli anni Ottanta. “Un libro non di carta”, in formato Kindle, scaricabile su Amazon, al prezzo di 2,68 euro.
QUI su Vibrisse, Giulio Mozzi racconta che scrisse questi componimenti a 26 anni. E ci spiega il perché abbia deciso di farli leggere/pubblicarli (soltanto) ora. E, al solito, non è mai banale. C’è in lui, salda e lucida, (e forse per alcuni eccessiva), l’idea che uno scrittore debba sempre e comunque esporsi al pubblico. Con meno barriere possibili. Essere precisi (da qui il culto delle date), visibili (vibrisse), raggiungibili (via, numero civico e telefono riportati nelle edizioni dei suo libri), metterci la faccia. Perché soltanto chi ci mette la faccia è credibile fino in fondo. E, mi sa, la scrittura ha molto a che fare con la credibilità. E’ un atto di assunzione di responsabilità. Comunque, che piaccia o meno, per non farla lunga, quello di Giulio è davvero un darsi totale. Anche quando parla dell’eterno ritorno nella sua scrittura di forme, materiali, parole, sembra che, oltre a esplicitarlo a noi, lo stia dicendo a se stesso dopo averci rimuginato sopra.

Ecco, io interpreto questo suo modo di procedere, come se ogni suo ragionamento sullo scrivere fosse una tappa di avvicinamento a quel “Discorso attorno a un sentimento nascente”  che gli arrovella la mente da un po’ e che tutti noi vorremmo poter leggere al più presto.

Giulio Mozzi è nato nel 1960. Abita a Padova. Ha pubblicato alcune raccolte di racconti (“Questo è il giardino”, Theoria 1993, Mondadori 1998; “La felicità terrena”, Einaudi 1996, Laurana 2012; “Il male naturale”, Mondadori 1998, Laurana 2011; “Fantasmi e fughe”, Einaudi 1999; “Fiction”, Einaudi 2001; “Sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili)”, Mondadori 2009, Laurana 2013.

Gianluca Minotti

Il ricordo d’infanzia: un libro da fare secondo Giulio Mozzi

«Ho voglia di fare un libro.

La voglia di fare questo libro

mi è venuta leggendo altri libri.

Il titolo del libro da fare è:

Il ricordo d’infanzia»

Parte come sempre da Vibrisse, bollettino di scritture e letture, l’ultima iniziativa di Giulio Mozzi: una sorta di chiamata alle armi per condividere il nostro ricordo d’infanzia, autentico e personale, prima che cada nell’oblio.

QUI il link del post apparso il 12 luglio e, di seguito, il contenuto:

«Vorrei raccogliere cento, mille, duemila ricordi d’infanzia. Non necessariamente primi ricordi d’infanzia. Ricordi di quando avevamo non più di otto anni. Ricordi, se possibile, autentici: cioè proprio ricordi personali, non ricordi attivati da racconti e rievocazioni di genitori e parenti. Non necessariamente, peraltro, ricordi “veri” nel senso comune della parola: la memoria dell’infanzia è piena di fantasie, sogni, immaginazioni – che non sapevamo allora, né sapremmo adesso, distinguere da ciò che ora, da adulti, consideriamo “vero”.

Vorrei che questi cento, mille, duemila ricordi d’infanzia fossero scritti tutti nello stesso modo:
– brevemente, da una sola riga a non più di una decina,
– al tempo presente (presente storico),
– con all’inizio brevi indicazioni di luogo («Sottomarina», «Casa della nonna» ecc.) e di tempo (sia oggettive, come «Settembre 1963», sia soggettive, come «Primo anno di scuola materna», ecc.),
– con una scrittura semplice semplice, il più possibile priva di effetti («Sottomarina. Faccio la prima elementare. Un compagno di classe mi sfida ad arrampicarmi su un muretto. Ci provo. Cado sulla schiena. Mi manca il fiato. Quando riesco a rialzarmi, il compagno di classe è scappato»),
– come se, insomma, questi ricordi d’infanzia fossero (fossero leggibili come) i ricordi di una sola persona dall’infanzia enorme, smisurata, infinita.

Perché ho voglia di fare questo libro? Perché quasi non ho ricordi d’infanzia. Tutto qui.

Volete partecipare a questo libro da fare? Se sì, vi chiedo di mandarvi il vostro ricordo d’infanzia. Scrivetelo in un documento e mandatemelo in allegato a un’email (giuliomozzi@gmail.com). Se volete aiutarmi della gestione del tutto, date al documento un nome del tipo: NomeCognome_Ricordodinfanzia.doc (o .rtf, .odt ecc.). Dentro il documento mettete il vostro nome, il vostro indirizzo elettronico, il vostro indirizzo di casa. Se volete restare anonimi, mettete solo il vostro indirizzo elettronico. Rispetterò l’anonimato.

Raccoglierò ricordi fino alla fine di settembre 2012. Poi comincerò a fabbricare il libro.

Mi riserverò il diritto di scegliere, tra i ricordi d’infanzia che arriveranno, quelli che mi sembreranno adatti. Se mi sembrerà opportuno intervenire sul testo, vi scriverò. [Aggiunta: intendo dire che nessun testo sarà modificato senza il consenso del titolare del ricordo].

Nel libro i ricordi saranno numerati e anonimi. Alla fine del libro metterò l’elenco dei nomi con i numeri dei ricordi. Penso che indicare ogni volta, nella pagina, il nome del titolare del ricordo disturberebbe la lettura: romperebbe l’illusione.

Non c’è ancora un editore, per questo libro. L’ho immaginato nei giorni scorsi, ne ho parlato con un paio d’amici, e penso sia il tipo di libro che bisogna prima fare, e poi proporre a un editore.

Anche se il libro fosse poi pubblicato da un grande editore, presumo che non sarà possibile prevedere l’erogazione di diritti ai singoli autori dei ricordi. Sarà difficile anche – ci proverò, ma non garantisco – far avere a ciascuno una copia del libro. Più facile una copia digitale.

Probabilmente io prenderò dei diritti come ideatore del libro e per la sfacchinata di mettere insieme il tutto. Se ce ne saranno, ne userò almeno una parte per una festa.

Come alcuni avranno già capito, i libri che mi hanno fatto venire voglia di fare questo libro sono due libri di Georges Perec: Je me souviens («Mi ricordo») e W ou le souvenir d’enfance («W o il ricordo d’infanzia»). All’inizio di Je me souviens Perec scrive: «Le titre, la forme et, dans une certaine mesure, l’esprit de ces textes s’inspirent des I remember de Joe Brainard» («Il titolo, la forma e, in una certa misura, lo spirito di questi testi s’ispira a I remember di Joe Brainard»). Recentemente, in Italia, Matteo B. Bianchi ha scritto anche lui un Mi ricordo ispirato dal Je me souviens di Perec.

Se c’è qualcosa che davvero non è solo nostro, è la nostra memoria intima.»

Che ci crediate o meno…

Sono lieta di condividere con voi la gioia di vedere su Vibrisse di Giulio Mozzi, uomo che stimo da molto tempo, il romanzo a puntate del mio amico Gianluca Minotti, che cura insieme a me questo blog e il service Literaid.

CHE CI CREDIATE O MENO

Buona lettura!

Mary

La vita oscena di Aldo Nove e La vita accanto di Mariapia Veladiano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Li sapevo entrambi da un po’. Della loro pubblicazione. E ora li ho qui, uno sulla sinistra, alle spalle, come può essere alle spalle un libro letto, e l’altro sulla destra, davanti, ché lo sto leggendo proprio ora. La vita oscena di Aldo Nove e La vita accanto di Mariapia Veladiano. Uno contro l’altro, uno di fianco all’altro. Uno accanto all’altro che ne duplica l’oscenità. L’oscenità di “esistere sul ciglio estremo del mondo”. L’autobiografia romanzata di Nove e la  storia di Rebecca. La malattia, la morte dei genitori, la depressione, il tentativo di annullarsi fisicamente, di annichilirsi, la droga, il parossismo del sesso: questa è la vita oscena. Il tutto compiuto con l’intento preciso di umiliarsi, di forzare la vita, di azzerarla il più possibile, di oltrepassare sempre di più la soglia, scivolare nell’abisso, giù, sempre più giù, in una Via Crucis verticale. Abiezione, certo. Ma anche estrema sincerità. In alcune interviste Aldo Nove ha parlato proprio della sincerità con cui si è raccontato, laddove per “sincerità” va inteso anche il lavoro di precisione fatto sulla lingua e sullo stile. “Niente effetti speciali”, ha detto. Ora, io mi immagino che mentre lo diceva, la Rebecca di Mariapia Veladiano prendeva piena consapevolezza della propria osenità, della propria bruttezza. Perché la “tragedia” di Rebecca è di essere una donna brutta, di essere stata una ragazza brutta, di essere stata una bambina brutta. Brutta nel corpo. Un corpo che, però, contiene un dono. Come quello di Aldo Nove, il cui libro, anche solo l’averlo scritto, vale quanto un dono.

Io veramente era qualche giorno che volevo scrivere un pezzo sul libro di Nove, sullo stile spoglio eppure denso di significanti e significati, sul vuoto e sul pieno, su come risaltino in alcune pagine gli oggetti, la pietas per gli oggetti, sul rapporto strettissimo tra poesia e pornografia, e sulle ultime pagine del libro. Su come si possa utilizzare la scrittura in tanti modi e per tanti scopi e si possano scrivere per anni romanzi (Amore mio infinito) e racconti che forse non sono altro se non tappe di avvicinamento, stazioni, approssimazioni a quanto di più privato ci portiamo dentro. A quanto di più doloroso abbiamo attraversato. Tutte tappe necessarie per poter poi affrontare e risolvere in maniera definitiva i fantasmi. A molti scrittori è capitato così, e pensavo a quel libro assoluto, totalizzante che è I miei luoghi oscuri di James Ellroy. Ma anche, per esempio, al disco del 1992 di Lou Reed, Magic and loss. Insomma, volevo scrivere un pezzo che tenesse conto di tutto questo, ma anche del male in letteratura, del rapporto con il male e con il corpo che tanto contraddistingue certa scrittura contemporanea (Il male naturale di Giulio Mozzi, Il mio nome è Legione di Demetrio Paolin, Il nemico di Emanuele Tonon), e poi non l’ho fatto.  Non finora almeno. Non fino alle 21:38 di venerdì primo aprile 2011.

Gianluca Minotti

Il Male naturale di G. Mozzi è a Roma il 4 marzo

Venerdì 4 marzo, alle ore 18:15, si terrà a Roma, presso la Libreria Mondadori di Via del Pellegrino, 94 (Campo de’ Fiori), la presentazione de
IL MALE NATURALE
di Giulio Mozzi
Laurana Editore
oltre all’autore, interverrà Andrea Cortellessa, critico e storico letterario.
Uscito per Mondadori nel 1998, Il male naturale è uno di quei libri che hanno segnato la storia recente della scrittura. Su due binari: uno eminentemente letterario (meno male!) e uno che di letterario ha poco. La censura. L’interrogazione parlamentare voluta dal leghista Oreste Rossi, giacché l’editore aveva pubblicato sul sito uno dei racconti che compongono la raccolta. Il racconto è Amore dove in tre pagine folgoranti è trattato, appunto, l’amore tra un bambino e un adulto. Pedofilia, pornografia: di questo si parlò. E il libro fu presto rtitirato dalle librerie. Ma coloro che – diciamo così – avevano fatto in tempo a leggerlo, si erano trovati di fronte a tredici racconti che riuscivano a parlare di vita, di morte, di dolore, di sentimenti, con una nitidezza davvero rara; come si evidenzia nella bandella dell’edizione Mondadori: “con approccio assoluto, frontale e allo stesso tempo quasi trascendente”. Il male che qui si tocca è il male consustanziale all’umano, ed è “naturale” perché fa parte di noi, è esso stesso a rivelarci come esseri umani. Non è un male esterno, non è un male che ci attacca da fuori, ma è un male che è carne della nostra carne. “Esiste un male che non è colpa di nessuno. Un male naturale”.
Dopo dodici anni il libro ritorna pubblicato da Laurana Editore con un breve saggio di Demetrio Paolin.
Quello che ci terrei a evidenziare di questi racconti è che per ognuno è riportata la data di inizio e fine scrittura. Per Bella, ad esempio, è: 22 febbraio 1988 – maggio 1996. Otto anni. Giulio Mozzi ha impiegato otto anni per concludere (semmai si può “concludere”) questo racconto. E ce lo dice apertamente. Perché? Perché per lui la scrittura è e deve essere naturale. La gestazione di un racconto può essere lunga, però poi, se funziona, dentro di noi accade qualcosa. Si parte da un’immagine, da una sensazione, da qualcosa di visivo o sensoriale (un dolore?) e poi si cercano le parole per dire. O meglio. Si lascia che le parole arrivino in maniera naturale. Nel caso di questi racconti,  a fare da detonatore, è spesso una semplice frase di inizio, che se è quella giusta, si porta a cascata tutto il resto. Se è quella giusta, “i racconti si sviluppano finché lo consente una sorta di impulso naturale a proseguire”. Sottolineo ciò, perché, mi pare, in tutti gli articoli usciti per la ripubblicazione del libro – e sono tanti – questo aspetto, pure importante, è stato un poco trascurato.
Gianluca Minotti