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Il ricordo di Daniel, Marco Candida

Marco Candida

Il ricordo di Daniel

Edizioni Anordest

€ 12.90

Siamo lieti di segnalare l’uscita di un nuovo romanzo di Marco Candida. “Il ricordo di Daniel”.  Di seguito riportiamo una precisa e favorevole critica di Pee Gee Daniel (QUI notizie sull’autore e QUI la pagina dove potrete trovare le nostre recensioni di altre opere di Candida).

Chi siamo? Donde veniamo? Dove andiamo? Queste sono le tre famose domande fondamentali della filosofia, oltreché il titolo adottato da Gauguin per uno dei suoi quadri polinesiani più celebri. Queste sembrano anche essere le tre domande di fondo cui l’ultimo romanzo di Marco Candida, “Il ricordo di Daniel”, Edizioni Anordest, tenta di fornire una qualche soluzione.

Anche se poi, come sempre accade nella buona letteratura, il libro finisce per aggiungere nuove e inedite domande irrisolte, anziché rispondere a quelle già esistenti, e – va da sé – va a intorbidire ulteriormente le acque.

La trama è presto riassunta: Daniel Marino, rampollo di una famiglia strapotente della provincia alessandrina (Tortona, per l’esattezza), specializzata in asfalti e simili, in seguito a un gravissimo incidente stradale, esce da un coma di due settimane con la memoria “resettata”. Non ricorda niente di se stesso, dell’ambiente che lo circonda, dei più stretti congiunti, come delle conoscenze varie o della fidanzata storica. Il romanzo si identifica perciò con il lento riappropriarsi del proprio passato da parte del protagonista, che va di pari passo con il consolidamento di un futuro lavorativo, all’interno dell’azienda di famiglia, e personale, a fianco di Sara, che infine metterà incinta e sposerà.

Sin qui tutto bene, giusto? Una storia semplice, neanche troppo originale, che potrebbe benissimo dare adito a pagine su pagine di buoni sentimenti, sensazioni dozzinali e filosofemi a buon mercato. Ma il tocco di classe del pluri-pubblicato Candida sta nell’usare una tale suggestione per dar vita a un plot dalle connotazioni fortemente thriller. Anche qui, però, a ben guardarci, le sorprese sarebbero scarsine, contando che le opere di finzione che partano da presupposti consimili per avventurarsi via via in un genere “ad alta tensione” sono egualmente ricorrenti.

La bravura aggiuntiva di Marco Candida sta invece nell’aver preso una densa storia esistenziale e averne fatto un thriller, che tuttavia, verso il finale, risolve in maniera inaspettata e affatto esterna al genere programmaticamente adottato. Anzi, per farla più complicata, il romanzo finisce nella maniera che ci saremmo dovuti aspettare – in quanto quella realisticamente più plausibile – ma che non ci aspettavamo più, per come l’autore ci aveva abituati nei capitoli precedenti (anche se, per ovviare a spiacevoli spoiler di sorta, su questo punto mi vedo costretto a rimandare il lettore a constatare tale evenienza de visu).

Iniziamo col dire che il titolo del romanzo può assumere diverse sfumature di significato a seconda che il genitivo in esso contenuto sia da intendersi come oggettivo ovvero soggettivo: che cos’è il ricordo di Daniel? È come gli altri se lo ricordano prima dell’incidente o è il ricordo di sé e del suo entourage che Daniel deve a tutti i costi recuperare, e che in effetti otterrà verso il finale, per capire veramente chi è? E ancora: i ricordi per conto terzi, ossia chi gli altri gli raccontano che fosse prima di questo punto di rottura procuratogli dall’incidente, sono il fedele resoconto di tracce mnestiche attendibili o non si tratta piuttosto di una impostura bell’e buona, orchestrata ai suoi danni da amici e parenti per renderlo diverso da com’era: vale a dire, pienamente confacente al ruolo che la famiglia e la società gli hanno preposto, senza consultarlo circa una sua effettiva accondiscendenza, ossia per renderlo – in una parola – “omologabile”?

Il mio simpatico omonimo (come scriveva una volta Harold Bloom, trattando del protagonista dell’Ulysses joyciano) si risveglia dallo stato comatoso e si ritrova in un mondo che non conosce. Innanzitutto, le figure attorno a lui vengono insistentemente contrassegnate da faticose perifrasi che ben rendono il doloroso scollamento tra Daniel e la realtà contingente in cui è ripiombato completamente immemore delle sue leggi e convenzioni: “la donna che sostiene di essere sua madre” (il cui nome proprio è Amanda: un gerundivo nel caso specifico davvero impraticabile…), “l’uomo che sostiene di essere suo fratello”, “la ragazza che sostiene di essere la sua fidanzata” e via dicendo. Su tutti svetta “l’uomo che sostiene di essere suo padre”, il fondatore della mega-azienda, anche soprannominato antonomasticamente “il Commendatore”, come in un rovesciamento parodico del Convitato di Pietra che Don Giovanni si ritrova a fronteggiare nell’opera mozartiana. Perché se là il campione del libertinaggio più sprezzante si vedeva incalzato e redarguito dal Commendatore moralista circa i suoi comportamenti peccaminosi, qui il padre di Daniel, commendatore del lavoro, lo vorrebbe inchiodare a un ruolo di “squalaggio” industriale di fronte al quale il figlio “redivivo” si mostra decisamente refrattario.

A parte le suddette circonlocuzioni, l’intero romanzo è segnato da una descrizione minuziosa, certosina, iperrealista di quel che circonda Daniel, a fronte di una realtà che, paradossalmente, non fa che sfuggirgli continuamente di mano. L’identità che tutti gli impongono gli va stretta o, perlomeno, gli risulta irritante alla pelle. Una situazione kafkiana e pirandelliana assieme: «Non sarebbe più interessante raccontare la mia condizione di uomo che non ricorda più chi è stato? Che pensa di trovarsi in una recita, che questo mondo è tutto soltanto una recita come uno di quei film che ci sono nella mia stanza?» (p. 134); «Certo, per lui aver perso se stesso è una condizione reale, mentre per gli altri è solo un modo di dire, ma ciò che si dice per modo di dire dopo un poco non è più solo un modo di dire» (p. 137)

Situazione dicevamo, e ancor prima si accennava a un tipo di storia esistenziale. In effetti, sotto vari profili, il milieu ineludibile che Daniel vive ricorda da vicino la “situazione” di cui parla il primo esistenzialismo (Jaspers), come destino dato all’individuo, prigione e risorsa al contempo: «Non c’è prospettiva all’indietro o in avanti. C’è solo il puntino del presente e da quel puntino o sei dentro o sei fuori – da subito» (p. 161), pensa Daniel tra sé e sé. Ma a rendere ancor meglio questo stato di cose c’è una bellissima frase, che precede quest’ultima di poche righe, e che suona così: «Se nel futuro si proiettano le utopie, il passato è solo mitologia. È il tempo presente che dice tutto», assunto in cui sembra di poter sentire riecheggiare il perfetto compendio della psicologia agostiniana.

Daniel è lì, senza passato, con un futuro incerto che non sa se abbracciare o ricusare. Vive l’attimo contingente. Questa è la sua unica dimensione. L’unica prospettiva concessagli dalla forte amnesia.  Insomma, “the present is a gift”, come recita un calembour tipicamente nordamericano.

Per contro, il presente, così disancorato e galleggiante, e altresì un incubo oscuro, che Daniel Marino vive attraverso potenti allucinazioni e visioni ipnagogiche ai limiti della demenza: «se guarda un anello viene disturbato dall’immagine di uno scarabeo, se osserva un vagone ferroviario gli arriva l’immagine di un cacciavite a stella, vede un gatto squartato se guarda agli occhiali della donna che sostiene di essere sua madre, un uovo se osserva un ponte, un serpente se dà un’occhiata a un mestolo» (p. 195), etc etc, come forma di estremo rifiuto di quella realtà che gli viene imbandita già precotta e condita a piacimento altrui e con cui vorrebbero imboccarlo a tutti i costi. A tal proposito è anche interessante, dal punto di vista squisitamente letterario, come questi equivoci percettivi si traducano in un grammelot, o in una serie di tic linguistici che si farà magistrale nel capitolo intitolato Opzione lingue (pp. 214-215).

Per concludere, si può bensì affermare che Il ricordo di Daniel sia uno di quei libri che, non appena il meccanismo narrativo si avvia, obbligano il lettore a consumarli entro breve, ma, a differenza della quasi totalità dei testi che godano di una tale prerogativa, non lo si scorda poi facilmente, una volta che lo si sia concluso.

 Pee Gee Daniel

Bamboccioni voodoo di Marco Candida

Marco Candida

Bamboccioni voodoo

Historica

La raccolta di racconti  di Marco Candida si compone di storie fresche, in cui il paranormale si insinua in vite spesso grigie e le colora, di solito di rosso, il rosso del sangue.

L’evento inatteso, incredibile, scardina le certezze e fa affiorare acredini, violenze, istinti sonnacchianti sotto il peso di abitudini e maschere sociali.
L’autore miscela sapientemente serio e faceto, ironia e dramma. Non mancano neppure riferimenti autobiografici, richiami letterari e legami tra le storie.
Candida gioca, con stili e parole, e anche nei racconti più horror il lettore ha l’occasione di
sorridere.
Inoltre, pure in situazioni tra le più strane, il lettore può cogliere input per riflessioni varie, come in questo brano:

«Stephen King è un gigante pazzesco.»
«He writes nothing. Okay, he’s a terrific writer, but at the end of his novels you don’t have anything.»
«Invece io ne ho sempre moltissimo e ti dirò anche perché: perché alla fine i suoi racconti sono costruiti talmente bene che, se non altro, hai il messaggio universale che ti proviene da un qualunque lavoro fatto bene ovvero che è un lavoro fatto bene, cazzo. Noi italiani questo gusto lo abbiamo perso da un bel po’. Tutte quelle strane teorie per cui un’opera d’arte dev’essere mostruosa o quei romanzi non finiti perché altrimenti si sarebbe caduti in qualche cliché… Balle. La cosa che un dilettante fa subito dopo “aver capito tutto” è “scrivere capolavori”, è “fare quello che gli pare”, tanto lui “ha capito tutto” e subito “tutto” gli “va a noia.” Dilettanti. Stephen King non è un dilettante. E poi è un brav’uomo, anche se alimenta paure nuove nella testa della gente.»
Stephen King sta per scagliare addosso ai due malcapitati l’incantesimo che ha trovato sul libro da quattro milioni di dollari, sottratto all’ultimo a Umberto Eco di Alessandria,
quando si ferma commosso dalle parole di Marino. «Holy shit! This poor bastard loves me. He loves me!», mormora.
(p.86)

Segnalo in particolare i seguenti racconti:
– Bamboccioni Voodoo
– The mist
– Per un abbraccio a Stephen King
– Decoder Sky

Mary Zarbo

La casa editrice:

www.historicaedizioni.com

L’autore:

http://marcocandida.altervista.org/blog/

L’immagine è stata presa da qui:

http://tvtropes.org/pmwiki/pmwiki.php/Main/VoodooDoll

QUI un’altra nostra recensione a un romanzo di Marco Candida.

La prima antologia di Calcio Astrale

AA.VV.

La prima antologia del Calcio Astrale

Cletus productions

ISBN 978-88-906667-1-1

€ 5,99 – File epub senza limitazione DRM

Acquistabile su
www.cletusproduction.it

cletusproduction.blogspot.com

Segnaliamo la recente uscita di un e-pub dedicato al gioco del calcio, “La prima antologia del Calcio Astrale”. I racconti portano la firma di svariati scrittori italiani di talento. Citiamo, tra tutti, Paolo Cacciolati, Marco Candida, Franz Krauspenhaar e Cletus Alfonsetti.

Le storie di questa raccolta, pur avendo la stessa ambientazione, sono diversissime tra loro. Ma l’averle assemblate ha una sua ragione ispiratrice: partono tutte da un sogno comune alle generazioni pur storicamente lontane una dall’altra. Quello di fare un goal, segnare un punto, sentirsi abbracciare dai compagni (e sbattere in terra nell’euforia omicida dei ragazzi di ogni epoca)”. Dalla prefazione di Enrico Vaime.

Marco Candida, Il bisogno dei segreti

Marco Candida

Il bisogno dei segreti

Las Vegas Edizioni

Collana: I Jackpot

pp. 197

€ 12,00

Acquistalo QUI

 

Le prime pagine QUI

 

 

Cosa distingue una persona dall’altra? Cosa la rende speciale?

I segreti.

I segreti distinguono ma possono distruggere.

Connie La Brava fin da piccola è stata resa partecipe dei segreti di tutti e ora è arrivato il momento di usarli.

I segreti sono la nostra possibilità di sentirci diversi l’uno dall’altro. Ecco perché difendiamo la privacy. In casa nostra difendiamo la possibilità di comportarci come desideriamo senza dover seguire regole sociali o di etichetta. (pag.100)

Anche Connie nasconde un segreto, un terribile segreto che la spingerà a ferire proprio le persone per lei importanti.

Connie è un avvocato specializzato in materia di privacy: è bionda, non molto magra, all’apparenza è una ragazza normale.

All’inizio la vediamo passeggiare per le vie di Genova, vuole imparare l’inglese e sfoglia un manualetto. Poi la storia si ingarbuglia, Connie architetta piani per ferire, ricattare alcuni amici, il suo ragazzo e perfino il suo datore di lavoro. In tutto il testo Connie sembra la spoletta che tesse un tappeto i cui fili sono i segreti e le persone.

Due ore fa mentre mangiava un gelato seduta su una panchina di Porto Antico davanti alle imbarcazioni e al mare piatto è riuscita a sentire come cose non solo i minuti ma anche i secondi. È stato come sentire ogni singolo capello staccarsi dalla testa. Non è stata una sensazione piacevole.

Come è stato spiacevole quando Connie è stata presa da quel­lo che considera un attacco d’ansia. Stava per tornare da Porto Antico a piazza Caricamento per prendere l’autobus quando ha cambiato idea. Si è accorta di aver visitato soltanto una volta l’acquario di Genova, e l’ha presa la voglia di farlo ancora. Così ha girato su se stessa e ha puntato in direzione dell’acquario. Solo che dopo pochi passi Connie ha pensato di averlo già visto, l’ac­quario. Ha pensato che, invece, avrebbe potuto tagliare per uno dei carruggi dove stava un ristorante indonesiano e c’erano ne­gozi che vendevano merci orientali. Non ci è mai passata di lì. Ha sempre avuto una forma di paura per quel carruggio. Mentre cambiava ancora direzione, le è venuto in mente che, però, in cima alla strada di San Lorenzo c’era una torre che non aveva ancora… Connie è andata avanti così per una decina di minuti, formando i pensieri lentissimamente, con il capo leggermente reclinato, compiendo qualche passo in una direzione e poi de­viando verso un’altra direzione oppure tornando sui suoi passi, tanto che alla fine dopo dieci minuti si è ritrovata ancora quasi all’esatto punto di partenza. (pag.15)

… si è ritrovata ancora quasi all’esatto punto di partenza.

Candida gioca molto con i brani. Molti sono riproposti anche se in contesti diversi, e uno, quello iniziale, si rileggerà alla fine del romanzo.

Connie ha fame di vita, di godere del mondo, eppure pian piano comincia a odiarlo, il mondo, per una ragione ben precisa.

Connie La Brava diventerà Connie La Cattiva.

I luoghi del romanzo sono soprattutto Genova, Tortona e Milano. Eppure l’America è molto presente.

La ragazza, infatti, vorrebbe andare negli U.S.A., soprattutto in North Dakota presso il nipote di una sua vicina. Se dapprima l’interesse verso il viaggio è di conoscenza, di curiosità, per godere di ciò che non si è mai visto, nel corso del racconto l’attenzione è concentrata proprio nel North Dakota, nella descrizione della vita dell’amico Everett in inverno, in quei luoghi. Gelo, neve, quotidianità al limite della noia attraggono Connie, sempre più alla ricerca di un vissuto agli antipodi della serenità e dell’emozione positiva.

Candida avrà di certo attinto ai ricordi del suo recente soggiorno negli States, il cui “diario di viaggio” si può leggere QUI

A proposito proprio dell’inverno in North Dakota:

Le tempeste di neve sono cominciate il 10 dicembre. Everett ha cominciato a smettere di uscire e a passare il tempo steso sul divano ai primi di dicembre cioè da quando la temperatura ha preso a mantenersi costantemente sui venti, ventidue gradi sotto zero. Uscire è diventato pericoloso. Lo Stato del North Dakota non ha abbastanza soldi per sovvenzionare la manutenzione del­le strade durante la stagione invernale così non ci sono veicoli spargisale per le strade e la neve che si posa sulle carreggiate non si scioglie e rimane lì. A causa del vento che viaggia a parecchie miglia orarie la neve sbatte sui vetri delle finestre e della veranda e ogni volta più che a una tempesta di neve sembra di assistere a una tempesta di sabbia. Per fronteggiare il freddo Everett ha anche portato a casa una coperta elettrica e le ha raccontato che quando si ferma fino a notte tarda a guardare la tv adopera quella per coprirsi. Una notte che si è addormentato con la coperta tra i denti ha anche sognato tempeste elettriche. (pag.175)

Candida, attraverso i suoi personaggi, soprattutto Connie, lascia trapelare il suo sguardo critico, pone domande proponendo alternative.

Ne Il bisogno dei segreti, ritroviamo la passione di Marco Candida per le definizioni, per le descrizioni accurate, gli elenchi; si fa apprezzare anche per l’uso delle parole in un modo pulito e senza sbavature. Dopo La mania per l’alfabeto, Il diario dei sogni, Domani avrò trent’anni  e Il mostro della piscina Candida si è cimentato con una storia senza mostri e visioni ma nello stesso tempo immaginifica e articolata.

Come si legge nel suo blog (QUI), Candida ha offerto fragole a chi gli chiedeva limoni. E queste “fragole”sono state gradite.

Mary Zarbo