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Il commesso

 

Il commesso
Bernard Malamud
Trad. Giancarlo Buzzi
Minimum fax

Il mio amico Gianluca, con cui condivido questo blog e la passione per i libri, mi ha spinto a scrivere qualcosa sull’ultimo romanzo che ho letto, Il commesso, consigliatomi dal mio amico Amedeo della libreria Capalunga.

Ci sono libri che sembrano specchi, capita anche con le poesie. Le parole che leggi ti riportano ricordi o sembrano descrivere il tuo stato attuale, magari dandoti una visione d’insieme più chiara e perfino delle soluzioni.
Per me, leggere Il commesso è stato un viaggio nell’animo umano, anche nel mio.

Riporto dalla quarta:
La storia è quella di Morris Bober, umile commerciante ebreo che nel cuore di Manhattan conduce una vita misera e consumata dagli anni, e di Frank Alpine, un ladruncolo di origini italiane, deciso a riscattarsi e diventare un uomo onesto e degno di stima, aiutando Morris al negozio. Tuttavia il giovane Frank non resisterebbe dietro al bancone, sempre più assediato dalla concorrenza, se non si innamorasse di Helen, la figlia di Morris. La vicenda è straordinariamente intrecciata intorno alle emozioni, ai segreti, al destino di queste tre esistenze.

La storia del povero, frustrato e sfortunato Bober va a intrecciarsi per un episodio di rapina a quella di Alpine. Storia triste ma di riscatto quella di entrambi, a cui prendono parte altri personaggi della famiglia e del quartiere.

Un episodio tragico cambia la vita, si sa, ma qui in special modo cambierà in meglio, non tanto dal punto di vista finanziario quanto quello morale, quella del commesso.

Malamud dipinge perfettamente l’atmosfera degli anni ’50, gli umori, le varie tipologie umane, rendendoli immortali. Una scrittura precisa in cui sono gli stessi personaggi, coi loro pensieri narrati, a offrirci riflessioni, non solo morali. Scrittura che non disdegna anche dei tratti umoristici e ironici.

Mary Zarbo

Una nuova vita di Bernard Malamud

Bernard Malamud

Una nuova vita

Minimum Fax

Collana: Minimum Classics

Traduzione di Vincenzo Mantovani

pp. 442

€ 12,50

2007

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Disp. in E-book QUI (€ 8,90)

 

Che senso ha insegnare letteratura e composizione in una società lanciata ciecamente verso un progresso tecnico ed effimero?

«A volte mi pare di fare una cosa completamente inutile, insegnando a scrivere a gente che non sa cosa scrivere. Posso dargli un tema, ma non le idee per svolgerlo. Non insegno come impedire alla società di autodistruggersi, e questo mi preoccupa. Io non sono particolarmente dotato – se dobbiamo dire la verità, sono un uomo come tutti gli altri – non ho molto talento intellettualmente
parlando, e quale contributo potrei dare, ammesso che ne sia capace? Eppure sento una fortissima necessità di dire ai ragazzi che devono comprendere cosa significa l’umanesimo, altrimenti quando la libertà cesserà di esistere non se ne accorgeranno. E che i migliori devono essere loro, maestri di idee e di se stessi, oppure devono scegliere i migliori che li guidino: in entrambi i casi è la democrazia che trionfa».

Seymor Levin è un insegnante di lettere originario di New York. Dopo un passato di alcolismo e sbando, vince una cattedra e si trasferisce nell’Ovest, presso un piccolo college dell’anonima provincia americana. I suoi sogni di carriera e di successo si scontrano però ben presto con la grettezza e ristrettezza di un ambiente chiuso e ipocrita. Scapolo, in una comunità in cui tutti sono sposati, e con una folta barba, laddove ogni mattina tutti si radono perfettamente per ostentare freschezza e disciplina, Levin è pervaso da un’ingenuità candida. Da giovane è stato niente meno che un luftmensch (espressione yiddish, da luft, “aria” e mensch “persona”): “una persona talmente presa da questioni intellettuali che non presta la minima attenzione alle faccende pratiche”. Per Levin le materie umanistiche dovrebbero essere la base di ogni insegnamento, ma la società sta cambiando e il college nel quale si ritrova a insegnare, per paradosso, è una delle tante università americane che all’inizio degli anni Sessanta si va specializzando nelle discipline professionali. E allora la domanda è: che posto resta da occupare nel mondo a un uomo come Seymor Levin, se anche una ragazza che una notte rimorchia, andandoci però in bianco, gli dice: «Non voglio più vederti, bastardo. Non credere che con tutto il pelo che hai sulla faccia non si veda che non sei un uomo».

Scritto nel 1961, Una nuova vita, oltre a essere un ulteriore tassello che conferma la genialità di Bernard Malamud (ricordiamo i suoi splendidi racconti, nonché, Il Migliore, Gli inquilini, Il commesso, L’uomo di Kiev), è stato paragonato ad altri grandi romanzi americani di quegli anni, quali, Revolutionary Road, di Richard Yates e La fine della strada, di John Barth.

Gianluca Minotti

 

Il pallone di Donald Barthelme

Se un tizio prende un pallone aerostatico e lo fa dilatare fino a fargli coprire quarantacinque isolati di Manhattan, una ragione dovrà pure esserci. Tanto più che nella sua esposizione, il tizio appare da subito oltremodo razionale, rivelando tutti i dettagli tecnici. E dunque, ci sarà una ragione, così come una reazione dei cittadini e delle autorità. E infatti c’è stata: qualcuno, cioè, ha cercato di attribuirgli un significato, mentre altri sono stati costretti ad ammettere l’apparente mancanza di motivazione del pallone. Intanto, a parte le varie interpretazioni, passati i primi giorni, quegli stessi abitanti inizialmente attoniti, hanno iniziato a solidarizzare con il pallone. I bambini ci saltano su e i grandi lo prendono come riferimento per i loro appuntamenti: «Ti aspetto dove si abbassa sulla Quarantasettesima Strada, fin quasi a toccare il marciapiede, proprio vicino alla Alamo Chile House». Il pallone, insomma, non è un’entità che oscura la città, bensì ridefinisce gli spazi, le distanze. L’orizzonte, perfino, perché permette di fare a meno delle strade, ovvero de «la rete di sentieri precisi, squadrati, sotto nostri piedi».

Il pallone di Donald Barthelme è uno dei racconti più strabilianti che possa capitare di leggere. Pubblicato nel 1968, è tratto da Atti innaturali, pratiche innominabili (Minimum Fax, 2005), raccolta che ha consacrato Barthelme tra i maestri della scrittura postmoderna americana. Un esempio fra tutti: David Forster Wallace ricorderà come proprio Il pallone sia stato il primo racconto ad avergli fatto desiderare di diventare scrittore.

Il pallone aerostatico di Barthelme copre Manhattan e otto pagine. Sette e mezzo  caratterizzate da un registro vagamente distaccato e “freddo”. Ma Barthelme gioca. E qui sta la grandezza della sua scrittura, del suo raccontare storie. Nel giocare e nel saperlo fare divinamente. Perché poi quella mezza pagina che resta è come quando, una volta aver gonfiato un palloncino, lo liberi dall’aria. Lo liberi nell’aria. E allora eccola la ragione. Che è, sì, “un abisso di profondità”, ma anche ti proietta per aria. Più in alto del pallone. Per quello che è e per l’innocenza con cui è detta.

Gianluca Minotti

 

Donald Barthelme

Atti innaturali, pratiche innominabili

Minimum Fax

Collana: Minimum Classics

Traduzione di Ranieri Carano

pp. 158

€ 8,50

La fine della strada di John Barth

John Barth

La fine della strada

Minimum Fax

Collana: Minimum Classics

pp. 273

€ 10,00

2004

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“Il mondo è fatto di ciò che vuole il caso, e ciò che vuole il caso non è una questione di logica.”

Prendiamo un uomo, estremamente razionale ma tutto sommato inadatto alla vita, e facciamo che «in un certo senso» sia Jacob Horner. Immaginiamo che a trent’anni intraprenda una professione. Non per libera scelta, bensì su consiglio del suo psichiatra, il quale, durante una delle solite visite cui è sottoposto da quattro anni, potrebbe  avergli detto qualcosa tipo: «Horner, non dovete più star seduto senza fare niente. Dovete cominciare a lavorare… ».

Ora facciamo un passo indietro e chiediamoci: per quale ragione un uomo dovrebbe lasciare che sia il suo psichiatra a pianificargli la vita? La risposta è semplice, ma vale per questo unico caso (cinico/clinico): perché  Jacob Horner, l’antieroe di Fine della strada (1958) di John Barth, è affetto da cosmopsis, ovvero, vista cosmica. Un giorno, di fronte a una scelta da compiere, una di quelle tante scelte che tocca fare nella vita, Jacob rimane come impietrito, fulminato dalla lucida consapevolezza che per lui scegliere tra due alternative è oltremodo indifferente. È lui stesso a raccontarcelo: «I miei occhi, come l’archeologo tedesco Winckelmann disse impropriamente degli occhi delle statue greche, erano senza sguardo, fissi all’eternità, puntati al fine ultimo, e quando così stanno le cose, non c’è ragione di far nulla – nemmeno di aggiustare il fuoco dei propri occhi. Il che è, forse, la ragione per cui le statue sono ferme».

Dopo un periodo di degenza presso il Centro di Rimobilizzazione, il dottore/psichiatra lo restituisce al mondo, dandogli le ultime istruzioni: «Non sarebbe bene, nel vostro caso personale, credere in Dio… La religione non farebbe che abbattervi. Ma finché non avremo escogitato qualcosa per voi, vi sarà utile seguire qualche movimento filosofico. Perché non leggete Sartre e diventate esistenzialista? Vi terrà in movimento finché non vi troveremo qualcosa di più adatto…Tenete spesso il corpo in esercizio. Fate lunghe passeggiate, ma sempre verso una meta decisa prima, e quando arrivate là, ritornate a casa, camminando speditamente. Cambiate casa; la compagnia non vi va bene. Non sposatevi per ora, e non imbarcatevi in relazioni amorose; se non avete abbastanza coraggio per andare a puttane, datevi temporaneamente alla masturbazione. Soprattutto, agite impulsivamente; non lasciatevi incastrare dalle alternative, o siete perduto. Non siete così forte. Se le alternative sono una di fianco all’altra, scegliete quella di sinistra, se si susseguono nel tempo, scegliete la prima. Se non si può applicare nessuno di questi criteri, scegliete l’alternativa il cui nome comincia con la lettera più vicina all’inizio dell’alfabeto. Questi sono i principi di sinistralità, antecedenza e priorità alfabetica – ce ne sono altri, e sono arbitrari ma utili. Arrivederci».

Insomma, Jacob Horner va a insegnare grammatica prescrittiva presso lo State Teachers College di Wicomico, nel Maryland, dove resterà coinvolto in un improbabile ménage a trois, diventando l’amante della moglie di un amico. Improbabile perché suggeritogli e non contrastato dallo stesso amico, con la conseguenza che la donna resterà incinta senza “decidere” il padre: una sorta di gara nel declinare ogni possibile responsabilità. Perché si può conoscere la grammatica senza saperne fare Linguaggio, in un romanzo grottesco, tragico, nichilista e scarno. Un romanzo che è il doppio rovesciato di segno de L’opera galleggiante (1955), libro invece esplosivo, immaginifico, barocco, solare e in cui lo stesso plot e gli stessi temi – adulterio, libero arbitrio, morte – sono puro pretesto per rivendicare come ogni narrazione sia artificio.

Gianluca Minotti

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ComingNow: libri freschi di stampa

 

 

 

Literaid è orgogliosa di presentare

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anteprima di libri appena usciti che, oltre a informare sulle novità editoriali, si propone di fornire, a tutti gli esordienti e a coloro che scrivono, un quadro d’insieme sulla narrativa che oggi viene pubblicata in Italia

 

 

Bowling e margherite

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Ernesto Aloia

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Il male naturale

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