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Sul perché certi libri proprio non finiamo di leggerli

 

IL LETTORE

(NON mp3)

IMPERFETTO

 


Io sono un cattivo ragazzo: leggo più libri insieme e non sempre riesco a finirli. Tempo fa questa cosa mi faceva sentire in colpa, come mancassi di rispetto agli autori; oggi, invece, mi fa sentire ugualmente in colpa. Ma non verso gli autori. Verso me stesso. Potrei fare un elenco di libri mai terminati, ma ve lo risparmio. Vi dico solo, per esempio, che non ho mai finito Anna Karenina. Mi mancano poco più di cento pagine, o meglio: sono anni che lo leggo e rileggo fino a un certo punto, sempre, rigorosamente lo stesso, e poi mi fermo. Non perché non mi piaccia, tutt’altro: mi fa impazzire, ci perdo la testa, non capisco più niente, mi viene quasi da parlare in russo, mi faccio crescere la barba e indosso pellicciotti, però poi mi fermo. Mi fermo prima che sia troppo tardi. Prima, appunto, che arrivi la fine. Insomma, credo di comportarmi così con Anna Karenina perché mi rifiuto di pensare che possa finire – non voglio che Anna muoia, va bene? – giacché, se è vero come si dice che certe storie non finiscono mai, allora, siccome io sono, sì un cattivo ragazzo, ma tutto sommato coerente, le lascio sospese. Tutto questo per dire che a volte i libri che non terminiamo non sono soltanto quelli che ci annoiano, ma anche quelli che più entrano in noi, per cui, nel nostro procrastinarli c’è come il tentativo di non esaurirli. Sapere che magari un giorno, quando proprio non ci resterà più niente da aspettare, sperare, nulla in cui credere, pochi spiccioli per fare granché e pochi treni da prendere (per dove?, ci aspetta qualcuno?), be’, avremo sempre la nostra cara Anna a cui attingere. Che, espressa così, pare una bella cosa; ma, ripeto, siccome l’Anna di cui stiamo discutendo non fa proprio una bella fine, siamo in realtà dei sadici. È dal suo sacrificio, dal doverne constatare la morte che noi auspichiamo di riappacificarci con la vita.

È per questo che mi sento in colpa verso me stesso. Al punto che sarebbe meglio, invece di iniziarne di nuovi, se terminassi i libri cominciati. Certo, certo, sarebbe meglio, ma come si fa? Perché poi accade anche un’altra cosa: certi libri, certi bei libri – e anzi, più fanno questo scherzo, più sono ottimi libri – rimandano ad altri libri, raggiungono l’apice proprio quando ne richiamano altri, a volte citandoli direttamente, altre suggerendoli. Magari non ti fanno proprio il nome e cognome dell’autore, non ti scrivono titolo dell’opera ed editore, però ti fanno accendere una lampadina e ti distolgono. Pare una contraddizione constatarlo, ma, ripeto, è così, e se mentre leggi un libro quello è perfettamente concluso in se stesso, esclude tutti gli altri, finanche esclude la vita, che tu te lo leggi dall’inizio alla fine in due ore, seppure non sembrerebbe, non è un buon libro, non lo è affatto. Simula, fa finta di esserlo, però non lo è. E quando te ne accorgi? Non subito te ne accorgi. Te ne accorgi con il tempo. Perché poi a quel libro iniziale, dopo che hai fatto tutto il tuo giro, a quello che inizialmente ti aveva distolto, tu ci torni, mentre a quello apparentemente concluso in se stesso, no.

Ora non so se avete tenuto il filo di questo sragionamento, però se io sono scontento del fatto di non riuscire a finire certi libri, è anche perché sono consapevole di essermi infilato in un gioco di rimandi dal quale rischio di non venire fuori.

Gianluca Minotti